Le ricerche confermano in modo sempre più inequivocabile che ciò che fa bene ai dipendenti fa bene anche all'azienda: attenzione alla diversity, una cultura aziendale incentrata sull'appartenenza e pratiche eque applicate globalmente. In un recente webinar, Josh Bersin, analista del settore a livello globale e preside della Josh Bersin Academy, ha riportato i risultati di un sondaggio Glassdoor secondo cui un'elevata percentuale di dipendenti e candidati all'assunzione afferma che non prenderebbe nemmeno in considerazione un'azienda che si dimostrasse poco inclusiva.
Tuttavia, anche se molte aziende portano avanti iniziative a sostegno di diversity e inclusione, i progressi desiderati tardano ad arrivare. Prendiamo come esempio la posizione del CEO. Nel 2021, solo 40 CEO dei Fortune 500 sono donne, quattro sono neri e solo uno è una donna nera. La mancanza di diversity fra le alte cariche aziendali è evidente, ma il problema riguarda tutti i livelli aziendali.
Uno dei principali nodi che le aziende devono sciogliere consiste nell'andare oltre la semplice definizione degli obiettivi di diversity e inclusione e arrivare ad assegnare la responsabilità della loro realizzazione ai dirigenti e all'azienda nel suo complesso. Un altro problema deriva dal concentrarsi esclusivamente sulla diversity. La diversity è essenziale, ma ancora più importanti sono il senso di appartenenza e l'inclusione dei dipendenti. Una persona può iniziare a lavorare per un'azienda ma, se non sviluppa un senso di appartenenza, non resterà a lungo.
L'appartenenza influenza anche la produttività. La Harvard Business Review ha rilevato che i dipendenti con maggior senso di appartenenza lavorano di più e sono più motivati. In effetti, la ricerca ha rilevato un miglioramento del 56% delle performance sul lavoro e una riduzione del 75% dei giorni di malattia tra i dipendenti che provano un maggiore senso di appartenenza.