Al contrario, un dipendente poco motivato si limita di solito a fare quanto strettamente necessario per non attirare l'attenzione. Ti suona familiare? Se non ha ancora iniziato a cercare un altro impiego, probabilmente è perché sta valutando le possibili opzioni. Questa mancanza di engagement può avere diverse origini, da uno scarso supporto da parte dei manager al burnout del dipendente a problemi personali di salute mentale, ma attraverso la misurazione dei livelli di engagement le aziende possono contrastare gli effetti, sia a livello personale che a livello professionale, del quiet quitting.
Workday misura il livello di engagement attraverso quattro domande, chiedendo ai dipendenti di specificare un punteggio da zero a dieci in risposta a una serie di affermazioni relative a dedizione, fidelizzazione, soddisfazione e fiducia. Questi comportamenti osservabili sono strettamente connessi a quelli che ci si aspetterebbe da un dipendente che ama il proprio lavoro e che si sente pienamente realizzato nel proprio ruolo, e sono i primi che vengono a mancare quando il livello di engagement inizia a calare. Ecco perché i sondaggi sull'employee engagement rappresentano una prima linea di difesa importante contro il calo motivazionale
Il quiet quitting è un problema globale
Mentre il termine "quiet quitting" e tutte le voci che circolano in merito suggeriscono che si tratta di un fenomeno recente, le problematiche associate a calo motivazionale, burnout e insoddisfazione a livello professionale sono note ormai da tempo, oltre a essere molto diffuse. Liquidando il fenomeno del quiet quitting come una nuova tendenza, si rischia non solo di causare un'ulteriore perdita di engagement, ma anche di trascurare i veri motivi per cui i dipendenti stanno prendendo le distanze dal proprio ruolo lavorativo e dalle responsabilità a esso associate. Ecco tre esempi di fenomeni e termini simili legati alle aspettative dei dipendenti in merito alla qualità della propria employee experience.
Involuzione e "lying flat" (letteralmente "stare sdraiati")
Si tratta di due tendenze strettamente connesse tra loro che si sono diffuse in Cina nel 2020 e che viaggiano in parallelo con il fenomeno del quiet quitting, con cui hanno in comune anche la forte presenza nei media. L'involuzione è vista come l'opposto dell'evoluzione: una stagnazione volontaria, in netto contrasto con la cultura del "996" (che consiste nel lavorare dalle nove del mattino alle nove di sera, sei giorni alla settimana). Allo stesso modo, l'espressione "lying flat" esprime il rifiuto della cultura della produttività a tutti i costi. Alle generazioni più giovani, alle quali si chiede di lavorare a ciclo continuo, la stasi può apparire preferibile.
Sciopero bianco
Lo sciopero bianco ha sempre rappresentato una forma efficace di azione sindacale. Meno radicale di uno sciopero vero e proprio, lo sciopero bianco prevede che i lavoratori si accordino per fare solo il minimo indispensabile, come pattuito da contratto. Ciò significa che, oltre a rifiutarsi di lavorare al di fuori dell'orario di lavoro, seguono alla lettera le procedure operative. Questo tipo di azione sindacale è stato pensato per ridurre la produttività e, al contempo, portare alla luce condizioni di lavoro ingiuste.
"Coasting" (letteralmente "muoversi per inerzia")
Come l'involuzione, si tratta di un altro fenomeno recente che ha come protagonisti dipendenti poco motivati che devono fare i conti con la mancanza di soddisfazione a livello professionale. Nel 2018, da uno studio condotto su 3000 dipendenti nel Regno Unito è emerso che il fenomeno riguardava circa il 36% degli intervistati. Sebbene l'etimologia alluda a un fenomeno meno radicale, nell'ambito di questo studio il coasting viene messo sullo stesso piano del quiet quitting: un approccio che consiste nel fare solo il minimo sindacale per non essere licenziati e tornarsene a casa appena terminato l'orario di lavoro. Dallo studio è emerso che il problema degli intervistati non era la mancanza di ambizione, ma la mancanza di scopo.
Come contrastare il fenomeno del quiet quitting
In un editoriale pubblicato su un giornale britannico, la giornalista Thea de Gallier, basandosi sulla propria esperienza, ha descritto il quiet quitting come qualcosa di analogo alla sindrome da stanchezza cronica, sottolineando che si tratta di un fenomeno che va al di là del burnout, in quanto nasce dalla necessità di stabilire dei confini personali sul posto di lavoro. Quando termini come "quiet quitting" diventano virali, c'è il rischio che le chiacchiere che iniziano a circolare in merito impediscano di analizzare la questione cogliendone le diverse sfumature. Contrastare il quiet quitting non significa costringere i dipendenti a essere più produttivi, ma comprendere le loro difficoltà e trovare il modo di superarle.
Se ai dipendenti non viene data la possibilità di parlare liberamente, non lo faranno. Ecco perché è importante assicurarsi che i dipendenti dispongano degli strumenti giusti ovunque si trovino, su smartphone se sono fuori sede, o tramite integrazioni di app durante la normale routine lavorativa. Offrendo ai dipendenti un'employee experience intuitiva, ma non eccessivamente semplificata, si dà loro la possibilità di fornire il proprio feedback in tutte le fasi del proprio percorso professionale. In questo modo, il rischio di abbandono non si concretizza.